Voucher, on. Baruffi “Delimitarne l’ambito di applicazione”

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“Se l’obiettivo originario era quello di far emergere il lavoro nero, ora assistiamo al processo opposto: con uno strumento opaco, anche nell’utilizzo, si finisce per portare al nero lavoro che prima era dipendente”: nelle parole del deputato modenese del Pd Davide Baruffi le ragioni per cui il Partito democratico ha presentato una propria proposta di legge di modifica del lavoro accessorio, stante la crescita esponenziale del ricorso ai voucher. “Nella nostra proposta – spiega Davide Baruffi, uno dei firmatari – viene delimitato l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione. Si ripristina la natura meramente occasionale della prestazione e si restringe la platea dei prestatori”

Entra nel vivo la discussione per la modifica del lavoro accessorio (voucher) con l’arrivo in Commissione Lavoro della Camera di tre proposte di legge in materia. Nei mesi scorsi il Pd aveva interrogato a più riprese il Governo alla luce dei dati forniti dall’Inps, che certificavano una crescita esponenziale nel ricorso ai voucher. Nel 2015 sono stati venduti oltre 115 milioni di voucher, rispetto ai 69 milioni del 2014 e ai 40 milioni del 2013, un’esplosione registrata soprattutto in settori tradizionalmente impropri come il turismo e il commercio. Il Governo, riconoscendo l’anomalia, ha annunciato una imminente correzione della disciplina tesa a rafforzare la tracciabilità dei voucher. Il Pd ha, comunque, scelto di presentare un propria proposta di legge e di incardinarla insieme alle altre depositate. La proposta di legge, a prima firma del presidente Cesare Damiano e sottoscritta anche dal deputato modenese Davide Baruffi, ha l’obiettivo di riconsiderare complessivamente la possibilità di ricorso al lavoro accessorio, riportandola di fatto all’alveo originario della legge 276 del 2003. Nella proposta viene delimitato l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’istituto. Si ripristina, da un lato, la natura meramente occasionale della prestazione e si restringe, dall’altro, la platea dei prestatori. Più in dettaglio, si identificano i possibili prestatori di lavoro accessorio nelle seguenti categorie: disoccupati da oltre un anno, casalinghe, studenti, pensionati, disabili, soggetti in comunità di recupero, cittadini extracomunitari nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. Anche l’ambito di impiego torna ad essere molto definito: dai piccoli lavori domestici all’assistenza domiciliare di vario tipo; dall’insegnamento privato supplementare ai piccoli lavori di giardinaggio, o pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; dal supporto nella realizzazione di manifestazioni alla collaborazione con enti pubblici o col volontariato per lavori di emergenza o solidarietà. Si ripristinano, poi, le soglie economiche precedenti: 5.000 euro annui massimi per ciascun prestatore e non più di 2.000 euro a favore di ogni singolo committente. “I dati – commenta Davide Baruffi – ci dicono che l’esplosione registrata ha poco a che fare con la modifica della disciplina introdotta l’anno passato dal Governo, in particolare con l’innalzamento della soglia a 7.000 euro percepibili da ogni lavoratore. Il problema sta a monte, più che nel Jobs act, la cui “colpa” – tiene a precisare Baruffi – è casomai quella di non aver posto rimedio ad un problema che già era ben evidente. La proposta che avanziamo punta a ridefinire i contorni e i profili precisi che inizialmente l’istituto aveva, e poi progressivamente smantellati dai governi di contro-destra fino alla riforma Fornero nel 2012. Se, dapprima, l’obiettivo era quello condiviso di far emergere il lavoro nero, ora assistiamo al processo opposto: con uno strumento opaco, anche nell’utilizzo, si finisce per portare al nero lavoro che prima era dipendente. È senz’altro positiva l’intenzione del Governo di rafforzare la tracciabilità dei voucher, ma noi pensiamo che non sarà assolutamente sufficiente. Per questo avanziamo una proposta più radicale e organica che mira a rimettere nelle regole quello che è finito totalmente fuori controllo. La nostra proposta -conclude Baruffi – è decisamente più coerente con l’impianto del Jobs act, che punta a stabilizzare i rapporti di lavoro e ad asciugare la zona grigia della para-subordinazione”.