Jobs Act, Baruffi “Perché ho lavorato per migliorare questa legge”

Dai parlamentari

All’indomani del voto alla Camera sul Jobs Act, il deputato modenese del Pd Davide Baruffi, componente della Commissione Lavoro di Montecitorio, tira le fila del lungo lavoro svolto sul provvedimento in una lettera rivolta ai cittadini.

“Carissimi, nella giornata di martedì la Camera dei deputati ha approvato la legge delega che riordina il mercato del lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Mi sono occupato a tempo pieno di questo provvedimento per oltre un mese e mezzo, dentro e fuori il Parlamento. Ho ascoltato le parti sociali e gli esperti della materia, mi sono confrontato in tante pubbliche assemblee con iscritti ed elettori del Pd, con cittadini lavoratori e imprenditori; sono intervenuto a più riprese tanto in Commissione Lavoro quanto in Aula e ho presentato e votato emendamenti per migliorare la legge. A conclusione di questo lavoro sento il dovere di rendere conto di quel che penso e di come ho agito, di cosa contiene ora il Jobs Act anche grazie al mio lavoro. Voglio anche motivare perché ho ritenuto mio dovere lavorare per migliorare e, alla fine, approvare questa legge, piuttosto che limitarmi a denunciarne limiti e difetti e alla fine votare contro. Il Jobs Act esce decisamente cambiato e migliorato da questo lavoro parlamentare. Se la delega conteneva inizialmente molti elementi di genericità e ambiguità, ora gli obiettivi e gli indirizzi al Governo sono senz’altro più precisi e vincolanti. Abbiamo operato, in particolare, per qualificare e rafforzare gli elementi positivi della legge, su cui si avverte di più il contributo del Pd; e viceversa abbiamo cancellato, corretto o attenuato gli aspetti più problematici, frutto delle richieste di Ncd.

La prima cosa importante è l’estensione delle tutele per chi perde il posto di lavoro e il sostegno a trovarne un altro. Troppi lavoratori oggi (in particolare giovani e donne, ma non solo), quando perdono il lavoro, si trovano abbandonati: senza tutele, senza alcuna forma di reddito e senza strumenti adeguati di ricollocazione. La delega punta ad estendere queste tutele e questi diritti e la legge di stabilità prevede risorse aggiuntive importanti per finanziare l’indennità di disoccupazione e per riorganizzare e potenziare le politiche attive del lavoro (formazione, centri per l’impiego, ecc.). Nel 2014 le risorse impegnate per la cassa integrazione in deroga ammontano a 1,7 miliardi circa; per il 2015 vengono stanziate risorse – anzitutto per i nuovi ammortizzatori sociali – pari a 2,9 miliardi. La seconda questione cruciale contenuta nella delega è la lotta alla precarietà. Ci sono oggi troppe forme contrattuali e sono quasi tutte povere, con pochi diritti e con salari bassi. Noi vogliamo riaffermare la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato perché la stabilità è un valore sia per il lavoratore che per l’impresa. Per questo la delega assume due impegni importanti: disboscare la giunga delle tipologie contrattuali, semolificando e cancellando in particolare quelle più precarie, e rendere il lavoro stabile più vantaggioso (meno costoso) di quello flessibile. Si introduce il contratto di lavoro a tutele crescenti come forma ordinaria con cui i giovani debbono entrare nel mercato del lavoro: un bel passo avanti per chi fino ad oggi è passato da un lavoro a chiamata a un contratto a progetto, da uno stage a una collaborazione coordinata e continuativa. Il Nuovo centro destra aveva proposto, al contrario, di non toccare le forme di lavoro flessibile e di abolire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Alla fine, su questo punto, il compromesso raggiunto prevede la reintegra del lavoratore per i licenziamenti nulli, discriminatori o disciplinari (i decreti delegati dovranno specificare i casi). Per gli altri licenziamenti, dovuti a ragioni economiche, il lavoratore ingiustamente licenziato avrà diritto ad un indennizzo economico, certo e crescente con l’anzianità di servizio. Ritengo che questo sia un ragionevole compromesso. E’ bene chiarire che per chi già oggi ha un contratto a tempo indeterminato nulla cambia (non abbiamo cancellato un solo diritto), mentre per un giovane precario, per il quale molti diritti sono stati fino ad ora un miraggio, sarà un bel passo avanti se questo contratto avrà successo. Con la legge di stabilità, nel contempo, stiamo investendo risorse significative per sostenere questa lotta alla precarietà: da un lato le imprese non pagheranno più l’Irap sulla componente lavoro per tutti gli assunti a tempo indeterminato, dall’altro avranno un incentivo molto consistente, oltre 8 mila euro e di durata triennale, per ciascuna nuova assunzione con contratto stabile. Questo complesso di misure realizza un obiettivo storico della sinistra: fare costare un’ora di lavoro stabile meno di un’ora di lavoro precario.

Abbiamo viceversa corretto quelle parti della legge più chiaramente volute o ispirate dal centrodestra. Ad esempio la possibilità di cambiare le mansioni di un lavoratore (il cosiddetto demansionamento): abbiamo previsto che questo possa avvenire solo in casi oggettivi di ristrutturazione aziendale e salvaguardando la retribuzione del lavoratore. Un altro esempio è quello dei controlli a distanza, ora disciplinati dallo Statuto dei lavoratori: abbiamo specificato che i controlli possono essere fatti solo sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, non sulle persone in violazione della loro privacy. Il lavoro parlamentare, tanto al Senato quanto alla Camera, è stato dunque utile e qualificante. Il testo iniziale della legge delega è stato via via corretto e migliorato, come ha riconosciuto martedì lo stesso ministro Poletti. Il Governo, inizialmente intenzionato a non accettare modifiche e a porre la questione di fiducia (per evitare che lo scontro tra Pd e Ncd producesse la paralisi e l’impossibilità di approvare la legge in tempi certi), ha infine accettato e valorizzato queste modifiche.

Vorrei concludere questa nota con due considerazioni. La prima riguarda il Pd e il voto in Aula di martedì. Quasi 30 colleghi sono usciti nel momento del voto (due hanno votato contro e due si sono astenuti), riconoscendo i passi avanti compiuti e ringraziando di questo i deputati della commissione lavoro, ma ritenendo ancora insufficiente il risultato raggiunto. E’ una posizione che rispetto e che non può essere certo affrontata con sanzioni disciplinari, ma che non condivido. Non tanto per questioni di “disciplina” (il gruppo del Pd aveva discusso e deciso di approvare la legge: il 90% dei nostri deputati ha infatti votato a favore) o perché non tiene in giusto conto le cose che abbiamo conquistato sul campo (è ovviamente una valutazione personale). Non condivido perché, se anziché provare a migliorare la legge nei punti che ho detto, tutta la “minoranza” fosse uscita, il Governo sarebbe andato sotto su atto molto importante. E avrebbe dovuto trarne le immediate conseguenze. Non è questo che serve al Paese e non è in questo modo, a mio avviso, che le cose possono migliorare.

L’ultima considerazione riguarda lo scontro politico e sociale in corso su questa materia. Personalmente lo considero sbagliato: sta aumentando progressivamente di tono e si sta allontanando sempre più dai contenuti. Io credo nel confronto dentro il mio partito, tra le forze diverse che sostengono il Governo, tra Governo e parti sociali. Il dialogo è tanto più necessario quanto più è grande la distanza delle posizioni. Alimentare uno scontro frontale è sbagliato e pericoloso e tutti debbono abbassare i toni e cambiare modalità. In particolare il Governo, il cui compito è unire il Paese, non dividerlo. Le riforme possono provocare divisioni e trovare un’intesa non sempre è possibile: ma proprio per questo il rispetto per il dissenso, per la funzione democratica dei corpi intermedi e delle rappresentanze sociali, per i lavoratori che scioperano è tanto più essenziale. Proprio oggi è iniziato il primo confronto col Governo sui prossimi decreti delegati, che dovranno attuare la delega. Siamo partiti col piede giusto. Auspico che analoghi incontri si facciano al più presto con tutti, per mettere tutti nelle condizioni di dare un contributo. Il nostro compito non è quello di indicare i problemi ma, se ne siamo capaci, di risolverli.