Art.18, Baruffi “Dati confermano crescita licenziamenti individuali”

Dai parlamentari

Nel 2009 i licenziamenti individuali sono stati 676.777, contro gli oltre 812.600 del 2013, con un picco nel 2012 pari a 941.492 licenziamenti. A renderlo noto è stato il Governo rispondendo all’interrogazione urgente presentata dal Pd in Commissione Lavoro. «Dunque in questo Paese si licenzia eccome, non solo attraverso le procedure collettive. Appare quindi piuttosto lontana dalla verità la discussione di queste ultime settimane sull’art. 18, descritto come un oggettivo ostacolo a nuove assunzioni per l’incertezza che genererebbe nelle imprese. I numeri del Governo e i fatti concreti raccontano l’opposto». A dirlo è il deputato modenese del Pd Davide Baruffi, primo firmatario dell’interrogazione urgente con cui si chiedeva all’Esecutivo di fornire, in modo analitico, i dati relativi all’applicazione della disciplina risalente al 2012 sui licenziamenti individuali.

Il Governo ha risposto all’interrogazione urgente presentata dal Pd in Commissione Lavoro, a prima firma del deputato modenese Davide Baruffi, circa i numeri e la portata dei licenziamenti individuali, il contenzioso e la conciliazione, i casi concreti di reintegra sul posto di lavoro, i tempi della giustizia. I numeri, fino ad oggi in larga parte sconosciuti o piuttosto aleatori, trovano ora una dimensione precisa grazie al quesito del Pd e alla successiva risposta del Governo. Al netto dei licenziamenti collettivi e di quelli per cessazione di attività, quanti sono i licenziamenti individuali per giusta causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo ogni anno nel nostro Paese? Si passa dai 676.777 casi del 2009 agli 812.642 del 2013 (353.050 nel primo semestre 2014), con un picco nel 2012 pari a 941.492 licenziamenti. Numeri piuttosto rilevanti, quindi: diversi milioni di licenziamenti individuali in pochi anni, che il Governo ha suddiviso nelle sottocategorie di licenziamento definite dalla nuova disciplina del 2012. Tra queste quella dei “licenziamenti per giustificato motivo oggettivo” è di gran lunga la più consistente: per stare al 2013, troviamo 73.092 licenziamenti per giusta causa (il licenziamento disciplinare per eccellenza), 20.778 licenziamenti per giustificato motivo soggettivo (siamo anche in questo caso nell’ambito disciplinare, meno rilevante) e 718.772 licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (il cosiddetto licenziamento economico). Ma questa enorme mole di licenziamenti come viene poi gestita? Quant’è il contenzioso effettivo tra lavoratore e datore di lavoro? Quanti lavoratori, insomma, si oppongono poi alle decisioni dell’azienda facendo ricorso? In questo caso il primo dato utile ce lo fornisce la conciliazione preventiva, un istituto che la riforma del 2012 ha reso obbligatorio nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Tale procedura ha aumentato quindi il numero delle conciliazioni, passate da meno di 2000 nel primo semestre 2012 a oltre 8.500 nel primo semestre 2014, con oltre 20.000 casi nell’intero 2013. Quindi il numero delle conciliazioni è di colpo quintuplicato e il buon esito delle stesse è oggi assestato alla metà dei casi, un dato certamente positivo che la riforma Fornero ha prodotto. Andando infine a guardare i numeri (e i tempi) dei processi emergono altri due dati importanti: non solo il contenzioso giudiziario è molto contenuto (8.286 sentenze vere e proprie nel 2013), ma i tempi previsti dalla riforma del 2012 sono invero piuttosto spediti, soprattutto se paragonati al resto delle cause civili: una durata media di 93 giorni nel 2013.

“Pare quindi di poter trarre qualche lezione dai numeri finalmente a disposizione – sottolinea il deputato modenese del Pd Davide Baruffi primo firmatario dell’interrogazione presentata dal Pd in Commissione Lavoro – Anzitutto i licenziamenti individuali sono parecchi, molte centinaia di migliaia ogni anno: in questo Paese si licenzia eccome, non solo attraverso le procedure collettive. In pochissimi casi però ne deriva una controversia sia in sede di conciliazione che in tribunale: 20.000 all’anno nel primo caso, 8.000 nel secondo (i due dati non possono neppure essere sommati perché, quando la conciliazione fallisce, è facoltà del lavoratore adire al giudice). Quindi meno del 3% dei licenziamenti dà vita ad un vero e proprio contenzioso. E, in questo caso, in brevissimo tempo il giudice si pronuncia sulla legittimità o meno del licenziamento. I casi di accoglimento totale (vale a dire in cui il giudice dà piena ragione al lavoratore e, se previsto, dispone il reintegro nel posto di lavoro) sono stati meno di 3.000 sia nel 2012 che nel 2013. Appare quindi piuttosto lontana dalla verità la discussione sull’art. 18 di queste settimane: il fatto che ostacolerebbe nuove assunzioni perché genererebbe incertezza per le imprese, troppo contenzioso, tempi molto lunghi per la risoluzione delle controversie o perché il giudice italiano infine dà sempre ragione al lavoratore. I numeri del Governo e i fatti concreti raccontano l’opposto: moltissimi licenziamenti individuali, pochissimo contenzioso, tempi veloci e una giustizia che premia pienamente il lavoratore solo nella minoranza dei casi. Ritengo che, anche alla luce di questi dati, il dibattito pubblico e l’azione del Governo dovrebbero spostarsi sui tanti problemi reali e concreti che imprese e lavoratori hanno, tra cui non figura oggettivamente l’art. 18.”

(Fonte fotografia: befan.it)