Il Congresso? Facciamo che sia rifondativo

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Difficile definire i contorni del quadro politico attuale. Ma nonostante la confusione sotto il cielo la situazione non è per nulla eccellente, anzi, la drammatica situazione economica e sociale impone un surplus di responsabilità da parte delle forze politiche. Tutti la invocano, ma per ognuno questa responsabilità ha una declinazione diversa, troppo spesso piegata ai singoli interessi di partito, quando non addirittura ai singoli interessi, anche giudiziari, dei leader/proprietari di queste forze. Tra i soggetti politici forse nessuno ha realmente voglia di elezioni nazionali. E penso che non ne abbiano nemmeno gli italiani che le diserterebbero in massa. E tuttavia la situazione sembra precipitare verso una crisi di Governo che sarà al buio e che non esclude la via d’uscita elettorale.

Dopo mesi di invocazione del congresso praticamente da parte di tutte le anime del PD (anche se con forme e modalità diverse), comincia a prendere così corpo un’ipotesi che personalmente ritengo sconcertante e che consiste nell’aggiramento della fase congressuale, nel superamento delle primarie e nella scelta ‘a tavolino’ di premiership e segretario del partito in caso di elezioni anticipate. Personalmente ritengo che tutto ciò debba essere scongiurato e forse quando si riunirà l’Assemblea nazionale il quadro sarà più chiaro da questo punto di vista. Ma è evidente a tutti che il Paese non può permettersi di andare ad elezioni con un sistema elettorale che non consegni a nessuno la vittoria e che, in caso di elezioni anticipate, sarà comunque necessario istruire un percorso politico che predisponga una legge elettorale e dunque un Governo (qualunque esso sia) dovrà presidiare questa ennesima fase di transizione. Qualsiasi sia l’esito di questa fase travagliata, che non ci è dato sapere, penso che in questo torno di tempo la premiership del centrosinistra debba emergere solo da un confronto aperto, vero e partecipato attraverso le primarie, perché mai come in questo momento abbiamo avuto bisogno di mettere lo scettro della decisione direttamente nelle mani degli elettori.

Allo stesso modo anche il PD ha bisogno di un Congresso per colmare lo scollamento emerso in questi mesi tra gruppo dirigente ed elettorato, nonché tra partito e società italiana. Un Congresso che oserei definire rifondativo. Gli elementi di criticità non riguardano solo il PD, ma tutto gli attori politici italiani (lo certificano i dati di astensionismo e il sentimento di antipolitica diffuso). Ma il PD, proprio perché è rimasto l’unico partito politico di massa presente sulla scena, ha il dovere di affrontare questo problema. E l’unico modo per farlo seriamente è tramite un Congresso vero, nel quale si misurino anche le anime del PD, se l’obiettivo comune diventa quello di superare il correntismo esasperato di questi ultimi mesi. Un Congresso che superi anche alcuni riti e modalità non più comprensibili dalla società moderna, e che sia l’occasione per promuovere forme di partecipazione ampia e diffusa. Un Congresso che trovi il modo di parlare al Paese e individuare soluzioni senza liturgie ormai novecentesche. Meno documenti prolissi e più contenuti, meno analisi e più idee, meno politichese e più politica. Lo dico usando il ruvido linguaggio della franchezza, qui sul web, consapevole che la mia prosa possa urtare chi milita in un partito dalle solide radici come il PD. Ma è ora di pensare meno alle radici e più alle ali!

Dovrà essere un congresso che parla al Paese e affronta i suoi problemi, a partire da quelli di una generazione di giovani senza una prospettiva di futuro. Dovrà essere anche il congresso del ricambio generazionale. È tempo che una nuova generazione prenda in mano definitivamente questo partito e lo porti dentro a questo secolo. Tra i parlamentari c’è già stato un rinnovamento significativo, ma dobbiamo proseguire.
Le elezioni amministrative della scorsa primavera ci hanno consegnato una vittoria inaspettata dopo che il partito e la sua classe dirigente hanno toccato il fondo nei giorni successivi alle elezioni politiche e nella fase dell’elezione del Presidente della Repubblica. Ma nessuno si può illudere che l’affermazione dei sindaci di centrosinistra alle ultime amministrative abbia risolto i nostri problemi, che si ripresenteranno identici (e forse anche aggravati) se non faremo un congresso vero, di forte rinnovamento nei contenuti programmatici e nella classe dirigente nazionale, nel quale dovremo istruire percorsi di partecipazione ampia e primarie aperte anche ai non iscritti.

Una vittoria che si basa sulla sconfitta degli altri e sull’astensionismo è una vittoria fragile, che può trasformarsi presto in sconfitta sociale e politica. Certo, avrebbe sostenuto Catalano se fosse ancora tra noi, è meglio vincere le elezioni con molti astenuti che perdere le elezioni con molti astenuti, ma per ricostruire il centrosinistra, insieme a sostenitori ed iscritti del PD, dobbiamo rivolgerci nell’ordine ai nostri elettori, poi a coloro che non ci votano più, poi a coloro che non votano nessuno e infine a coloro che non ci hanno mai votato, coinvolgendo tutti nei nostri processi di partecipazione politica, spalancando porte e finestre dei nostri circoli, o, ancora meglio, uscendo dai nostri circoli, per essere presenti laddove la vita sociale, culturale, economica e dunque politica scorre. Senza paura.

(photo credit: Lori Greig via photopin cc)